Le "perché si"
In quest'epoca di consumismo, le strade cittadine sono piene di macchine sempre più grandi, che isolano sempre più il guidatore dal mondo esterno e lo distraggono sempre più con i loro gadget tecnologici. Dicono che è il progresso, e il progresso, si sa, non si può fermare. E poi l'economia deve girare, il PIL deve crescere e il profitto è diventato il metro unico per valutare qualsiasi cosa: quindi più macchine, più grandi, più tecnologiche, più tutto e, ca va sans dir, più costose: e così la pubblicità sdogana l'aberrante concetto del SUV da città e le macchine si valutano per come si connettono ai social. Traffico, code, inquinamento, costi, nervosismi valgono bene la soddisfazione di pavoneggiarsi su una scintillante e bellissima e tecnologicissima e apparescentissima auto, no? E poi vuoi mettere la comodità?
Eppure c'è un altro modo di spostarsi: è un modo che arriva praticamente immutato da un'epoca diversa, in cui i valori erano diversi, in cui la gente era diversa. E' un modo più efficiente, perché con quindici chili di metallo e gomma ottiene lo stesso risultato che si ha impiegando una tonnellata e mezza degli stessi materiali. E' un modo più semplice, e per questo guardato con disprezzo dai tanti per cui conta solo l'apparenza. E' un modo più lento, come ribadiscono tutti quelli che considerano la bici di intralcio alla circolazione e causa di tutti i mali del traffico. Ma siamo sicuri? Mediamente impiego un po' meno tempo in bicicletta che in macchina per andare a lavorare, e decisamente meno tempo che col servizio pubblico, quest'ultimo in palese sofferenza nella Firenze dei cantieri tramvia.
Non sono un biciclomane estremista, sia chiaro, né tantomeno ho uno spirito nordeuropeo: se piove a funi dalla mattina, la bici rimane sotto la tettoia e vado al lavoro in altro modo, visto che per 40 minuti di tragitto non c'è mantella che tenga e arriverei in ogni caso o bagnato dall'esterno o cotto al vapore dall'interno. Però alla fine riesco ad utilizzare la bicicletta abbastanza spesso e forse le pedalate più belle le ho fatte proprio in quelle limpidissime giornate invernali in cui la gente mi guarda come un marziano: "ma come, in bicicletta con questo freddo?", come se ad andare in bici non ci si riscaldasse.... Sarà perché il mio casa-ufficio ciclistico attraversa il verde delle Cascine e fa un piccolo fuoriporta sulla ciclabile dei Renai, però raramente dopo una giornata sui pedali sono nervoso e irritabile come troppo spesso mi capita dopo essermi ingorgato su viali e viadotti con la macchina. E che dire dell'esercizio fisico? Andare a lavorare in bicicletta (e parlo di quasi 30 Km al giorno tra andata e ritorno) varrà quanto andarci in auto e poi dover andare in palestra?
Ammetto di avere un po' abbondato di retorica, volevo solo spiegare perché vedo la bicicletta come un timido tentativo di ribellione al modello economico dominante. E' per questo che non sopporto di veder finire una bicicletta in una discarica, che è la meta finale di ogni oggetto generato da questo processo titanico volto ad aumentare il PIL.
Da un po' di tempo ho quindi cominciato ad affrontare anche qualche caso veramente disperato: rottami di poco interesse e nullo valore, che è antieconomico sistemare perché richiedono troppo lavoro o troppi pezzi di ricambio o troppo di entrambi. Ma tanto per me è un hobby, mica ci devo portare la pagnotta a casa: se cedendole riesco a recuperare quello che ho speso sono già contento, e magari ci rientra pure un attrezzo nuovo o qualche pezzo per il restauro successivo. Certo non diventeranno mai delle speciali, ma il pensiero di aver rimesso in strada un oggetto destinato alla discarica porta davvero soddisfazione. E poi in questi lavori posso sperimentare ed affinare tecniche nuove e riciclare quella cassettina di pezzi avanzati ma recuperabili che ogni restauro "speciale" lascia dietro di se, così anche il capanno degli attrezzi ringrazia.
Insomma, ecco le "perché si".
Eppure c'è un altro modo di spostarsi: è un modo che arriva praticamente immutato da un'epoca diversa, in cui i valori erano diversi, in cui la gente era diversa. E' un modo più efficiente, perché con quindici chili di metallo e gomma ottiene lo stesso risultato che si ha impiegando una tonnellata e mezza degli stessi materiali. E' un modo più semplice, e per questo guardato con disprezzo dai tanti per cui conta solo l'apparenza. E' un modo più lento, come ribadiscono tutti quelli che considerano la bici di intralcio alla circolazione e causa di tutti i mali del traffico. Ma siamo sicuri? Mediamente impiego un po' meno tempo in bicicletta che in macchina per andare a lavorare, e decisamente meno tempo che col servizio pubblico, quest'ultimo in palese sofferenza nella Firenze dei cantieri tramvia.
Non sono un biciclomane estremista, sia chiaro, né tantomeno ho uno spirito nordeuropeo: se piove a funi dalla mattina, la bici rimane sotto la tettoia e vado al lavoro in altro modo, visto che per 40 minuti di tragitto non c'è mantella che tenga e arriverei in ogni caso o bagnato dall'esterno o cotto al vapore dall'interno. Però alla fine riesco ad utilizzare la bicicletta abbastanza spesso e forse le pedalate più belle le ho fatte proprio in quelle limpidissime giornate invernali in cui la gente mi guarda come un marziano: "ma come, in bicicletta con questo freddo?", come se ad andare in bici non ci si riscaldasse.... Sarà perché il mio casa-ufficio ciclistico attraversa il verde delle Cascine e fa un piccolo fuoriporta sulla ciclabile dei Renai, però raramente dopo una giornata sui pedali sono nervoso e irritabile come troppo spesso mi capita dopo essermi ingorgato su viali e viadotti con la macchina. E che dire dell'esercizio fisico? Andare a lavorare in bicicletta (e parlo di quasi 30 Km al giorno tra andata e ritorno) varrà quanto andarci in auto e poi dover andare in palestra?
Ammetto di avere un po' abbondato di retorica, volevo solo spiegare perché vedo la bicicletta come un timido tentativo di ribellione al modello economico dominante. E' per questo che non sopporto di veder finire una bicicletta in una discarica, che è la meta finale di ogni oggetto generato da questo processo titanico volto ad aumentare il PIL.
Da un po' di tempo ho quindi cominciato ad affrontare anche qualche caso veramente disperato: rottami di poco interesse e nullo valore, che è antieconomico sistemare perché richiedono troppo lavoro o troppi pezzi di ricambio o troppo di entrambi. Ma tanto per me è un hobby, mica ci devo portare la pagnotta a casa: se cedendole riesco a recuperare quello che ho speso sono già contento, e magari ci rientra pure un attrezzo nuovo o qualche pezzo per il restauro successivo. Certo non diventeranno mai delle speciali, ma il pensiero di aver rimesso in strada un oggetto destinato alla discarica porta davvero soddisfazione. E poi in questi lavori posso sperimentare ed affinare tecniche nuove e riciclare quella cassettina di pezzi avanzati ma recuperabili che ogni restauro "speciale" lascia dietro di se, così anche il capanno degli attrezzi ringrazia.
Insomma, ecco le "perché si".